Il Cammino
Homo viator e homo peregrinus
Il fenomeno “pellegrinaggi” possiede molteplici e complesse matrici religiose, cultuali e culturali. Il viaggio è una metafora della condizione umana: se diviene una fondamentale dimensione della vita, nel cristiano assume un ruolo assolutamente preminente e quasi porta a sintesi l’homo viator e l’homo peregrinus. Già nella Roma antica peregrinus significa “colui che ha lasciato il suo paese d’origine e che si trova lontano dalla sua patria”, e anche “esiliato”; con la diffusione della peregrinatio, a partire dal IV secolo, nascono la letteratura odeporica e il genere degli itineraria, resoconti descrittivi di grande fascino che forniscono innumerevoli dati di carattere geografico, storico, biblico-scritturistico, spirituale, culturale e persino turistico. Non si deve dimenticare che questi testi contribuirono allo sviluppo del fenomeno. Dunque il pellegrinaggio consiste in un’esperienza individuale o comunitaria, a carattere soprattutto spirituale (ma anche esistenziale e culturale), investita dalla dimensione antropologica del viaggio. Così come si sviluppa nella ricchissima stagione medievale, il pellegrinaggio è un grande intreccio di percorsi, concentrati principalmente su tre mete: Gerusalemme (la città santa), Roma (la città sacra), Santiago de Compostela (impressionante fenomeno, a tutt’oggi, di pellegrinaggio a carattere europeo). Due sono le principali motivazioni alla base di un pellegrinaggio: penitenziale e giudiziale. La prima è connessa con il viaggio di conversione e salvezza, e presuppone una disposizione mistica; la seconda ha carattere espiatorio e all’origine può avere l’ingiunzione di un’autorità ecclesiastica o civile.
Vi è poi una stretta connessione fra pellegrinaggio e giubileo: due modalità che appartengono non solo alla tradizione cristiana (per la quale il fedele è sempre peregrinus sulla terra) ma anche a quella ebraica e islamica. Il giubileo, infatti, è la forma peculiare di pellegrinaggio che nasce nel 1300 per volontà di Bonifacio VIII ma che incubava in tutto il Duecento. Siamo quindi di fronte ad un fenomeno vasto e complesso, nelle motivazioni e nelle realizzazioni, che per di più s’incrocia con un complicato reticolo di tradizioni, le quali si esplicano in ‘luoghi sacri’ e in depositi di reliquie, connotati da peculiarità geofisiche, da oggetti specifici e da forte spessore simbolico. L’esito di questa vera e propria sacralizzazione dello spazio, nota distintiva di tutte le civiltà, disegna pertanto un mondo considerato come una mappa sacra. Quello del pellegrino diventa uno status di vita, anche a prescindere dalle motivazioni, e assume un ruolo ufficiale, con tanto d’insegne, benedizione, vestizione e distintivi al ritorno. Nella fenomenologia del pellegrinaggio occorre considerare e distinguere il ruolo dei molteplici percorsi, delle numerosissime mete e dei diversificati bacini d’afflusso; ciò è necessario per comprendere la varietà delle tipologie: avremo pertanto pellegrinaggi internazionali, nazionali, regionali e locali.
Una terra di mezzo. L’impianto Vario
L’orizzonte geo-topografico della valle del Savio è costituito da un territorio che si estende dal Monte Fumaiolo (m 1407) al mare Adriatico, che è in gran parte segnato dal percorso del fiume Savio e che, nell’ottica dei pellegrinaggi, manifesta tre punti focali costituiti da Cesena, Sarsina e Bagno di Romagna. Il primo è posizionato sulla via Emilia; il secondo, quasi punto mediano della vallata, è storica sede vescovile e méta santuariale; il terzo funziona da snodo obbligato di transito della via Romana-Sarsinate (oggi corrispondente alla SS. umbro-casentinese e alla superstrada E45) e da naturale luogo d’attacco dei passi Carnaio, nella direzione della valle Bidentina, Alpe di Serra e Mandrioli, nella direzione Casentino-Aretino, Verghereto, nella direzione della valle Tiberina. La valle del Savio fin dall’antichità documenta il suo ruolo di via di comunicazione militare e civile, di transiti commerciali e di penetrazione del cristianesimo; nel suo sviluppo, che corre dai valichi appenninici al territorio ravennate, è testimone diretta del fenomeno pellegrinaggi. La viabilità medievale ricalca, di fatto, quella antica, sull’asse Roma-Arezzo-Ravenna; l’accesso alla valle del Tevere, al Casentino e all’Aretino trovano lungo il Savio una direttrice naturale, forse già in epoca protostorica, e comunque a partite dal IV secolo a.C.: quando Sarsina, capoluogo umbro, si avvia a sviluppare la sua consistenza urbana, posta a terrazzo sulla sinistra del fiume. Già la conquista romana di Sassina, presupposto per l’espansione nella Cispadana, deve essere avvenuta attraverso questi valichi; così come le spedizioni contro i Galli Boi del 201 e del 196 a.C. muovono probabilmente attraverso il passo di Serra, certamente nella valle del Savio secondo la testimonianza di Tito Livio.
L’età medievale conferma tale impianto viario, e lo arricchisce di ulteriori percorsi e piste. Basta scorrere la Descriptio Romandiole dell’Anglic per avere una buona mappatura della nostra valle nel 1371. Analoga la situazione degli hospitalia, collocati sia in posizione strategica rispetto ai valichi e ai pellegrinaggi, sia nelle realtà abitative. A rimarcare l’importanza di questi transiti rimane ancora oggi la ‘segnaletica’ costituita da una fitta rete di pievi e antiche chiese, quasi tutte allineate sulla via Romana-Sarsinate lungo il Savio e il Dismano: Pisignano, San Pietro in Cerreto, Ronta, San Mauro in Valle, Tipano, San Vittore, Solfrino, San Damiano, Montesorbo, Romagnano, Sarsina, Bagno di Romagna.
Il territorio della diocesi sarsinate presenta una fitta rete santuariale (di antica o recente erezione) o di luoghi connessi a culti e devozioni particolari: Madonna di Corzano, Madonna Pellegrina in Quarto, San Vicinio nella cattedrale, Madonna dell’Apparizione in Balze, Sant’Alberico, Santissimo Crocifisso di Montesasso, Monte di San Vicinio, Madonna del Ponte in Mercato Saraceno, Madonna di Montesorbo, Santa Maria delle Grazie in San Piero in Bagno, Madonna del Sangue in Bagno di Romagna, Beata Giovanna da Bagno, Beata Agnese da Sarsina o da Bagno. Fonti specifiche sui pellegrinaggi romei nella nostra area sono gli itineraria e la letteratura odeporica, la letteratura agiografica e la documentazione archivistica.
Viaggi, viaggiatori, santuari
A cavallo fra 1203 e 1204, Geraldo del Galles, un ecclesiastico britannico, si reca in pellegrinaggio a Roma; intenzionato a varcare gli Appennini al passo della Cisa, decide poi di proseguire sulla via Emilia per evitare ostacoli; giunto a Faenza «tertio ante Natale die», di lì riparte il 28 dicembre 1203, si dirige poi nella valle di Bagno, passa per quella spoletana e arriva a Roma il 4 gennaio 1204. Geraldo parla di cime innevate e di briganti tra Forlì e la val di Bagno, precisando che gli abitanti di Spoleto addirittura si stupiscono del fatto che abbia scampato tali pericoli.
I celebri Annales Stadenses, opera in forma di dialogo fra due giovani, Tirri e Firri, scritta da Alberto, descrivono le strade per Roma e gli itinerari per la Terrasanta, con indicazione delle distanze fra le mansiones; la loro datazione è compresa tra il 1240 e il 1256, e sono considerati la più completa guida duecentesca per i pellegrini. Punto di partenza del francescano Alberto è Stadt («Stadium»), sull’estuario dell’Elba vicino a Brema. Giunto a Bologna, l’autore scrive: «Ibi habes optionem duarum viarum trans montes, vel ad balneum sanctae Mariae [vale a dire Bagno di Romagna], vel ad Aquam pendentem [Acquapendente]».
E per il ritorno: «A Roma redeas per Viterbium [Viterbo], et sic ultra Alpes [Alpe di Serra] ad balneum sanctae Mariae via praedicta usque Meldolam». La fonte non potrebbe essere più chiara, così come evidente è il rilievo dato a Bagno di Romagna e alla sua posizione. Al 1253 risale l’Iter de Londinio in Terram Sanctam di Matthew Paris, una specie di mappa per i pellegrini verso Roma e Gerusalemme. Anche lui, giunto a Bologna, passa per Imola, Faenza, Forlì e poi si dirige a «Les bains nostre dame» e «Alpes bolon», cioè Bagno di Romagna e l’Alpe di Serra. Salimbene de Adam da Parma, raccontando nella Chronica di aver compiuto nel 1284 un pellegrinaggio ad Assisi ai luoghi francescani, descrive il ritorno passando per La Verna e Bagno di Romagna. Nell’Hodoeporicon di Ambrogio Traversari, redatto negli anni 1434-35, ricaviamo numerosi riferimenti a viaggi compiuti dal celebre Priore generale camaldolese, eletto nel Capitolo di Santa Maria di Urano presso Bertinoro nel 1431; frequenti i passaggi e le soste a Bagno di Romagna, e sempre proseguendo per il Bidente.
Nel 1458 compie un pellegrinaggio a Roma William Wey, ecclesiastico di Eton: passati gli Appennini all’andata, a Bologna, per il ritorno sceglie di visitare Assisi e poi procede nella direttrice Perugia, Città di Castello, Borgo Sansepolcro, Pieve Santo Stefano, San Piero in Bagno, Galeata, Forlì, Ravenna. Al dicembre 1510 risale una lettera che Tommaso Paolo Giustiniani (1476-1528), giovane patrizio veneto e in seguito celebre eremita e beato camaldolese, scrive all’amico Vincenzo Quirini per raccontargli il viaggio-pellegrinaggio VeneziaCamaldoli; passato dalla valle del Bidente, sostò a Bagno due giorni, frenato da grande neve e ghiaccio, e provato dalle asperità del percorso («cominciai a montar le Alpi per una naturalmente difficil via […] e poi per gli ghiacci difficilissima e pericolosa. Io tremo ora a pensar ad alcuno di que’ passi che passai»).
La forte motivazione di fede fa sopportare al pellegrino i «patimenti di corpo e spirito». Nel 1554 anche Benvenuto Cellini, compiendo un pellegrinaggio a Camaldoli e alla Verna, giunge sino a Bagno, di cui era nativo un suo giovane lavorante. Nel 1835 Leopoldo II Granduca di Toscana si recò in pellegrinaggio all’eremo di Sant’Alberico. Anche la letteratura agiografica fornisce importanti indicazioni. Nella Vita Hilari, di poco anteriore al 755, leggiamo che il prete aretino Iulianus passa per Bagno e sosta nel monastero di Sant’Ellero a Galeata. Nella Vita s. Romualdi († 1027) di Pier Damiani leggiamo: «Aliquando namque ad locum qui Balneum dicitur, qui videlicet in Saxenati constitutus est territorio, transiit; ubi etiam non pauco tempore commorans, monasterium ad b. Archangeli Michaelis honorem construxit, a quo non longe cellam in ea habitaturus intravit». La Vita s. Vicinii ci dà informazioni preziose sulla geografia dei pellegrinaggi medievali: Roma e la basilica di San Pietro, San Michele Arcangelo nel Gargano, San Donato ad Arezzo e il santuario sarsinate.
Al capitolo 31 di quest’opera leggiamo dello stesso vescovo di Sarsina che si reca nel Gargano; è interessante notare alcune peculiarità: il vescovo viaggia come il classico pellegrino, e dunque munito di pera, la bisaccia; c’è il timore di pericoli, ed è proprio per scongiurarli che il presule decide di portare con sé una piccola reliquia del santo; inoltre l’agiografo sottolinea la grande fama del santuario garganico. Nei capitoli 15-16 si racconta di un nobile di Reggio Emilia che compie soprusi a un diacono il quale, non riuscendo a sottrarsi in alcun modo alle angherie del prepotente, «scelse di affidare le sue disgrazie al Re dei re e ai suoi santi, che ben le conoscevano, e di supplicarli con dovute preghiere. Fu così che trovò salvezza: si recò alla basilica di San Pietro principe degli apostoli per chiedere il suo aiuto e nel frattempo visitò in pellegrinaggio tutti i santuari che potè. Tornato infine da Roma, gli fu rivelato in sogno che se avesse chiesto l’aiuto del beato Vicinio vescovo di Sarsina, che con evidenza è solito soccorrere tutti coloro che glielo chiedono pregando, avrebbe meritato di ottenerlo». Di particolare rilievo è, invece, il capitolo 24, dove si parla dell’itinerario seguito dal diacono ravennate Onesto per recarsi a Roma, «causa oracionis»: il diacono va a cavallo, è in compagnia e sosta a Sarsina, dove chiede ospitalità per la notte (da queste informaizoni, si dovrebbe concludere che Sarsina, per chi proveniva a cavallo da Ravenna, costituiva la prima tappa).
Persino i testamenti forniscono notizie sulle mete di pellegrinaggio: Santiago de Compostela, Sant’Antonio di Vienne (Francia), le basiliche di San Pietro e San Paolo a Roma, la Veronica, Assisi. Tutti i protagonisti fanno testamento, com’era uso, prima di partire (e le ragioni appaiono chiare: percorsi lunghi e difficili, pericolo di malattia, di briganti e persino di morte;
Inoltre il gesto di partire in pellegrinaggio segnala il desiderio di un completo distacco dalla vita ordinaria e materiale). È curioso il testamento di Biagio di Gianni di Sarsina: egli ingiunge al figlio Baldo di «ire per votum quod fecit dictus Blaxius eius pater ad sanctuarium S. Antonii Vienensis et ad sanctuarium S. Iacobi de Galitia, et si fuerit impeditus debeat invenire unum qui eat ad dictum viagium». È un bell’esempio di pellegrinaggio per procura. Ma la documentazione notarile non esaurisce certo le varie testimonianze di fede e devozione; in proposito non mancherebbero attestazioni significative: si pensi, ad esempio, alle processioni (le quali peraltro assumono la forma di un piccolo pellegrinaggio) col Crocifisso di Montesasso (nei periodi di siccità portato anche nei campi per invocare la pioggia). Se poi considerassimo le titolazioni canoniche di parrocchie, chiese e monasteri, scopriremmo un’onomastica santorale in evidente connessione con la pratica devozionale del pellegrinaggio: san Giacomo apostolo; san Michele arcangelo, san Martino e innumerevoli altri.